I profondi cambiamenti nella governance regionale intrapresi a seguito dell’evento traumatico con esclusivo riferimento al patrimonio culturale costruito consentono di caratterizzare l’incremento di resilienza del sistema perseguito mediante l’adattamento e la trasformazione di alcuni processi e, in seconda battuta, di inquadrare le significative ricadute sulla struttura territoriale colpita.
Come è cambiato il paesaggio da qualche mese.
Guardare la specie infestante del pianeta che si nasconde nei propri nidi.
Osservare come rinuncia a vivere il contesto, il tessuto connettivo, il non
racchiuso, lo spazio che rende possibile ogni concretezza interagente, molto
diverso da quello digitalmente interattivo.
Cosa avranno pensato le altre specie viventi di questa temporanea sottomissione?
Una ritirata in difesa dopo millenni di espansione indefessa giorno e notte in
qualunque lembo (o limbo, che in fondo è sempre nell’etimo un orlo) di territorio?
Con una rapidità che sbalordisce è avvenuto un global reset così inconsueto e
implacabile, mai realmente preconizzato, neppure nei migliori film di fantascienza,
anche se spesso annunciato tra le (im)possibilità descrivibili. Paul Virilio in
L’Università del disastro (2007), aveva intuito e sintetizzato come le pratiche
vibrazioniste, i caratteri iperattivi, le funzioni delocalizzative, l’ottimizzazione
individualista, pervadessero globalmente ogni Spazio & Società (per dirla alla
Giancarlo De Carlo) con logiche attive e passive a seconda di ogni immaginazione
sociologica (Zygmunt Bauman): “tutti esiliati in una esternalizzazione di massa”
che richiedeva maggiore consapevolezza critica. Nessuno, tuttavia, voleva fare una
ecografia per prevenire, anche se si sapeva che non si stavano producendo i giusti
anticorpi nella società globale.
Ora che la prossemica è divenuta la scienza della sicurezza, che la dimensione
nascosta di Hidden è palese e scopre intimità e tabù di nuove tipologie, emerge
dal substrato della antroposfera l’Arte della rintracciabilità come soluzione
approssimata per definire non più lo spazio ma i comportamenti. Si passa dalla
geometria della quiete a quella del movimento: l’inerzia domiciliare confligge col
bisogno di estendere il proprio corpo territoriale. E il paesaggio urbano, immerso
nella quarantena planetaria, sembra condividere un incessante (e inquietante)
fermo immagine.
La violenza del globale (Byng-Chul Han) solleva le triplici fauci di Cerbero nel
cerchio dantesco degli (obesi) golosi e propone l’obbligo della trasparenza e della
ipercomunicazione: tutto vicino, nessun riparo, tutti transiti nel globale sempre più
transitorio, in una continua sovraesposizione digitale. In questo inferno trasparente
qualcuno sta mettendo in atto, con l’avvento progressivo di nuove Apps per
smartphone (metonimia di ogni individuo), una terribile legge del movimento
(Hanna Arendt) che dovrebbe combattere una Blitzkrieg con l’invisibile, l’incerto e
il mutevole.
C’è qualcosa di mitologico.